Il parroco di Casali di Faicchio, era fortemente impegnato per il recupero dei tossicodipendenti e la tenace lotta contro l’usura. Che il suo sia stato un’ omicidio di stampo camorristico? In seguito a nuovi elementi  emersi sulla vicenda circondata da molti particolari oscuri, gli inquirenti hanno riaperto il caso.

Faicchio(Bn)- Ad un anno dalla riapertura delle indagini, il settimanale on-line Sannio Week  nel suo ultimo numero prima della pausa estiva, ricostruisce la vicenda dell’omicidio di don Sergio Sergi, avvenuto 14 anni fa. Nell’articolo sono riportate tutte le dinamiche che hanno portato gli inquirenti a riaprire l’inchiesta.

DI seguito riportiamo lo “Speciale dedicato all’omicidio di don Sergio SERGI a cura di Giovanni Pio MARENNA, www.sannioweek)

IL CASO. Un anno dopo la riapertura della indagini ancora nessuna novità sulla morte di don Sergio Sergi di 14 anni fa: il parroco di Casali di Faicchio fu ammazzato dalla camorra o da qualcun altro? E per quale ragione? Sannio Week, sulle tracce di una verità ancora lontana, ricostruisce con ordine quanto è accaduto.

UN PRETE SCOMODO

Ci sono gialli irrisolti che spesso vengono dimenticati. Ci sono misteri che, come fuochi, si accendono e si spengono, perdendosi nei labirinti della memoria. La morte del parroco di Casali di Faicchio di 14 anni fa è (2 dicembre 1997)  uno di questi casi. E’ trascorso un anno da quando sono state riaperte per omicidio le indagini dal G.I.P. del Tribunale di Benevento, dopo che la richiesta di archiviazione schedandolo come incidente. Trovato morto 14 anni fa sull’autostrada Napoli-Canosa la morte di don Sergio Sergi, un prete-coraggio che oltre all’evangelizzazione si stava occupando del recupero dei tossicodipendenti e stava dando assistenza alle vittime del racket dell’ usura. La sua morte è ancora avvolta da un grosso punto interrogativo: chi e perché lo ha ucciso? La tesi dell’incidente scricchiolava da tutte le parti ed infatti è miseramente crollata. Ma ricostruiamo con ordine quello che è successo, mettendo insieme i flashback di questa trama, dove gli indizi che escludono l’incidente stradale sono veramente tanti:
Scena 1 – 2 dicembre 1997, il corpo di don Sergio Sergi viene trovato privo di vita, disteso a pancia sotto, sulla corsia d’emergenza della Napoli-Canosa, tra i caselli di Lacedonia e Candela. Presenta una profonda ferita alla nuca. Poco distante da lui, sempre sulla corsia d’emergenza, la sua auto, una Ford Mondeo.
Scena 2 – il sacerdote si stava recando a Foggia a comprare dei gazebo con la sua auto, ma alla guida dell’auto è stato provato che c’era un giovane di Faicchio, Vincenzo Palmieri. Che per questo venne, dapprima, accusato e poi scagionato per omicidio colposo.
Scena 3 – dai primi risvolti dell’ inchiesta, l’ipotesi più accreditata è che si fosse trattato di un semplice incidente stradale. Ma parecchi nodi non tornavano leggendo il rapporto, le incongruenze erano tante. La prima è che don Sergio sarebbe stato proiettato fuori dall’abitacolo attraverso il lunotto posteriore. Ora, anche chi non ha conosciuto don Sergio ed osserva la sua foto (vedi a destra) può rendersi conto che questo sacerdote aveva un fisico molto imponente (era alto 1,81 e pesava 140 kg). Il fatto che l’impatto della sua auto con il guardrail avesse proiettato il suo corpo all’ indietro sfidava ogni legge della fisica conosciuta. Seconda grossa perplessità, che stavolta sfida le leggi della casualità: è fin troppo strano che sia il corpo del sacerdote, sia l’auto, sia i pezzi della stessa furono ritrovati tutti lungo piazzola di sosta, come riposti, invece che in mezzo alla strada sparpagliati. Terza domanda da un milione di dollari: se è vero che stava percorrendo quell’autostrada con la sua auto, come mai il telepass della Mondeo non aveva registrato il suo passaggio al casello autostradale? Come ci arrivarono, allora, sul luogo dell’ incidente, la macchina e don Sergio? Ce li portò qualcuno? Chi, il suo o i suoi assassini? E ancora altri punti interrogativi: perché il cruscotto era integro se l’ impatto avrebbe dovuto scaraventarci contro i due occupanti? perché gli air bag non scoppiarono?
Altra curiosità sospetta: dando per buona la tesi (che già così fa acqua da tutte le parti) dell’ incidente lungo l’autostrada, come mai il freno a mano era tirato e nel cambio era stata inserita una marcia bassa? Tutte domande che non hanno ricevuto una risposta e che hanno, di fatto, scartato l’ipotesi dell’incidente stradale.
Scena 4 – C’è stato un altro indizio decisivo che ha convinto il giudice per le indagini preliminare a non archiviare il caso come la lettera che il vescovo di Teano-Calvi, mons. Francesco Tommasiello (suo padre spirituale e suo amico), scrisse prima di morire. Nella lettera scriveva che gli era stato riferito (forse in confessione?) che “Don Sergio fu ucciso nella zona di Telese e poi trasportato sulla piazzola dell’autostrada Napoli-Bari, non lontano da Candela”. Il vescovo ne aveva già parlato con il giudice roteale Fausto Carlesimo, il quale venuto fuori questo particolare ha confermato di essere stato al corrente di quanto fosse a conoscenza monsignor Tommasiello. Chi confidò questa notizia all’ex vescovo di Teano-Calvi?
Scena 5 – Saputa la morte del loro parroco, alcuni parrocchiani si recarono in canonica per prendere i suoi abiti per il funerale. Ma un’altra amara sorpresa li attese. Infatti trovarono la canonica messa completamente a soqquadro, il computer manomesso e la segreteria del telefono che aveva registrato questo messaggio: “Pregherei di non cancellare questo messaggio, a lui dispiace di essere assente, ma noi di questa voce non sentiamo la mancanza. Conservatelo, grazie”.

Scena 6 – Quattro anni fa il padre di don Sergio, Vincenzo, scrisse un libro-dossier “choc” (vedi quì)  per fare delle rivelazioni abbastanza clamorose e raccontare l’idea che s’era fatto della vicenda. Secondo il padre di don Sergio (e da un anno anche secondo gli inquirenti) l’incidente era stato simulato e l’auto di don Sergio sarebbe rientrata in autostrada a bordo di un camion che poi l’avrebbe scaricata dove è stata ritrovata. Altra coincidenza curiosa. Un paio di ore prima, proprio in quel punto, c’era stato un incidente simile. Il sospetto è che sia stato sovrapposto un incidente finto ad uno vero per ingannare tutti che la morte di don Sergio sia avvenuta in un incidente e non per un cruento assassinio. Ma il padre di don Sergio andrò anche oltre, raccontando che il giovane parroco stava gestendo dieci miliardi di lire del Giubileo ed avrebbe voluto impiegarli per far costruire nella sua parrocchia un ostello della Gioventù e degli impianti sportivi. Ma scoprì che su quei terreni della Diocesi, inalienabili, si sarebbero consumate delle speculazioni edilizie. Secondo il padre, ne parlò anche con il vescovo dell’epoca mons. Mario Paciello per informarlo di quanto aveva scoperto. Accuse forti che destarono scalpore le quali, però, finora non hanno trovato alcun riscontro nei fatti. L’ipotesi più plausibile dell’omicidio di don Sergio va ricercata nel suo forte impegno per il recupero dei tossicodipendenti e la sua tenace lotta contro l’usura.

COS’AVEVA SCOPERTO?

Di certo per organizzare una messa in scena del genere, devono esserci state per forza più persone ad agire. Quindi possiamo supporre che o don Sergio era un ostacolo per narcotrafficanti o trafficanti di prostitute oppure che il parroco dei Casali avesse scoperto un segreto così eclatante che andava eliminato al più presto possibile. Che avesse scoperto qualcosa di clamoroso e che, per questo, fosse da tempo nel mirino di qualcuno (con alta probabilità della camorra) che non gradiva il suo impegno contro gli illeciti, don Sergio lo aveva capito e lo aveva confidato a più di una persona. Aveva ricevuto minacce e subito atti intimidatori. Però, a detta di Vincenzo Di Crosta membro della Fraternità spirituale lasalliana “Signum Fidei” di cui don Sergio faceva parte, “quando ne parlava sembrava non preoccuparsene eccessivamente. Quando, però, cominciò a sospettare che dietro tutto questo, ci potessero essere importanti ed insospettabili personaggi, le minacce si fecero più concrete e Don Sergio non fu più tranquillo. Lui stesso mi confidò, varie volte, che la sua vita era in pericolo senza mai rivelarmi il perché e da parte di chi. Smise di frequentarmi, per paura di coinvolgermi, così ci incontravamo di nascosto. Don Sergio aveva perso la sua serenità, era divenuto molto prudente e sospettoso. Dalle sue labbra era scomparso il suo proverbiale sorriso, evitava di stare solo in sacrestia, però era fermo nella decisione di non cedere ai ricatti e di non lasciare nessuno dei suoi impegni”. E così effettivamente, la mattina del 2 dicembre quelle minacce verbali si tramutarono concretamente nel suo brutale omicidio. Nato a Guardia Sanframondi e parroco da due anni di Casali di Faicchio, don Sergio ha fatto fino in fondo il suo dovere di uomo prima e di sacerdote poi, occupandosi degli ultimi, dei più deboli, degli indifesi. Forse per questo è stato ucciso. Forse per questo era ritenuto scomodo da chi deteneva, e probabilmente detiene tuttora, il controllo di alcuni traffici illeciti. La riapertura dell’inchiesta serviva a stabilire, col supporto di sopralluoghi da parte di medico legale (il professor Bruno Della Pietra) ed un esperto di incidenti stradali (l’ingegnere Vincenzo De Vita), se le lesioni riportate da don Sergio siano compatibili con lo schianto della Mondeo contro il guardrail. Il magistrato aveva inoltre autorizzato la riesumazione del cadavere se si rendeva necessaria per analizzare la compatibilità delle ferite. Una ricerca della verità, come abbiamo visto, non priva di ostacoli. Per superare i primi scogli sono dovuti trascorrere ben 13 anni (infatti, come detto, l’anno scorso sono state riaperte le indagini per omicidio). Di questo passo c’è speranza che assassini e mandanti di don Sergio vengano trovati ed assicurati alla giustizia? Chi la sa integralmente o ne conosce solo qualche pezzo e continua a non parlare, calpesta ogni giorno il corpo insanguinato di don Sergio, ne stritola il ricordo, ne sputa il coraggio, ne insulta la missione che aveva propria di aiutare i diseredato e la determinazione nel denunciare i soprusi. Insomma chi sa e non parla continua a coprire i veri responsabili del delitto ed è come se uccidesse don Sergio ancora e ancora e ancora. Ma le azioni di don Sergio non resteranno soltanto un lontano ricordo, che sbiadirà col passare del tempo. Quello no. Quelle rimarranno indelebili nella mente di molti e non potranno essere cancellate con un colpo di spugna. Saranno conservate per sempre affinché le impronte della testimonianza salomonica di questo prete scomodo, molto apprezzato e benvoluto dai giovani, vengano seguite e siano di esempio per tutti.( Articolo a cura di Gioovanni Pio MARENNA, Sannio WEEK)

-Sul caso se ne occupò anche il programma di Rai Tre “Cni l’ha visto( vedi quì video)”

Pubblicato da red. prov. “Alto Casertano-Matesino & d”