lapide san lupo140 anni fa il moto internazionalista alle origini del Socialismo. Il ruolo del poeta Giovanni Pascoli

La Rivoluzione Socialista del Matese

Le sceneggiature di Vasco Pratolini ed Ettore Scola ispirate a questi fatti

di Bruno Tomasiello*

“La Repubblica di Letino” è il titolo della sceneggiatura scritta da Ettore Scola e Amerigo Alberani, ispirata al tentativo insurrezionale del Matese, considerato dagli storici l’atto di nascita del Socialismo italiano. Prima ancora, il grande Vasco Pratolini e Fernando Birri avevano iniziato il racconto del loro “Mal d’America” partendo dalla casa di San Lupo, nel beneventano, dove si riunirono e partirono i rivoluzionari dell’unica vera insurrezione socialista della storia italiana. Purtroppo entrambe le sceneggiature sono rimaste tali: i film non sono mai stati realizzati. Spiace soprattutto per la sceneggiatura del grande Scola, scritta per la RAI che ne detiene i diritti, ma che non ha mai girato il film.

Nell’aprile del 1877, sulle montagne del Matese, tra le province di Benevento e Caserta, un gruppo di Internazionalisti tra cui Errico Malatesta, Carlo Cafiero, Pietro Cesare Ceccarelli e Napoleone Papini, fedeli alla dottrina della “Propaganda del fatto”, con un atto rivoluzionario utopico e ambizioso, in nome della Rivoluzione Sociale, dichiararono decaduto il Re e l’autorità governativa.

anarchici mateseL’azione rivoluzionaria era stata decisa l’anno precedente, durante il 3° Congresso dell’Internazionale Socialista svoltosi a Firenze e Tosi. Tale assise, fedele alle idee di Bakunin e in contrapposizione alle idee comuniste di Marx, aveva scelto il Mezzogiorno d’Italia, popolato essenzialmente da contadini, come luogo di una nuova azione rivoluzionaria dimostrativa. Il luogo prescelto era il piccolo paese di San Lupo, nel beneventano; la data di inizio dell’azione, in un primo tempo fissata per il 5 maggio, fu precipitosamente anticipata di un mese. Raccolti i fondi, le armi e il materiale necessario alla spedizione, nel mese di marzo 1877, Malatesta, tramite il Sindaco del paese prescelto, aveva fittato un’abitazione con il pretesto di doverci trasferire la moglie di un signore inglese, residente a Napoli, affetta da una grave malattia, a cui i medici avevano prescritto aria di montagna.

La mattina del 3 aprile 1877, probabilmente per un’ultima ricognizione, Carlo Cafiero, Cafierofingendo di essere inglese, accompagnato da una giovanissima ragazza e da Errico Malatesta, suo “segretario-interprete”, arrivava a San Lupo, visitava la taverna Jacobelli che trovava adatta alla scopo e, dopo una breve passeggiata a cavallo nei boschi circostanti, la sera rientrava a Napoli. Nei giorni seguenti, altri Internazionalisti, da soli o in piccoli gruppi, giungevano nel luogo convenuto.

La Questura di Napoli, perfettamente a conoscenza dei fatti grazie all’opera delatrice di un signore locale che gli Internazionalisti avevano precedentemente contattato e sul quale facevano affidamento in quanto residente e conoscitore dei luoghi, informava il Prefetto di Benevento affinché la mattina del 5 aprile procedesse all’irruzione nella taverna e all’arresto dei congiurati. Non ritenendo opportuno il momento, convinto, non a torto, che altri Internazionalisti stessero per raggiungere San Lupo, il Prefetto non intervenne ma dispose, tramite i carabinieri, un servizio di vigilanza armata intorno la taverna.

La sera del 5 aprile la situazione improvvisamente precipitò. I carabinieri di guardia, vedendo dei segnali luminosi partire dalla taverna, provarono ad avvicinarsi ma subito si imbatterono in due gruppi di Internazionalisti accovacciati fuori dalla taverna. Ne scaturì un conflitto a fuoco nel quale due dei quattro carabinieri presenti furono feriti; uno morirà successivamente per le ferite riportate.

Convinti di essere stati scoperti, temendo l’arrivo di altre forze dell’ordine più consistenti, gli Internazionalisti, lasciando buona parte di quanto necessario alla spedizione nella taverna, immediatamente presero la via dei monti. Non conoscendo bene i luoghi, facendo affidamento su guide improvvisate, i rivoltosi vagarono un paio di giorni per le montagne. Infine scelsero il piccolo paese di Letino come nuova sede dell’azione rivoluzionaria.

Domenica 8 aprile 1877, la banda entrò nel comune di Letino. Spiegata al vento la bandiera rossa e nera, gli insorti si diressero verso la piazza principale del paese dove in municipio era convocato il consiglio comunale. Entrati nella sala del consiglio, dichiararono decaduto il re Vittorio Emanuele II distruggendone il ritratto, proclamarono la Rivoluzione Sociale, gettarono dalla finestra e incendiarono le carte dell’archivio dello stato civile e del catasto, si fecero consegnare i fucili della disciolta guardia nazionale e li distribuirono al popolo. Al segretario comunale che, scrupolosamente, da buon burocrate, voleva tenere le carte a posto, fu rilasciata la seguente dichiarazione a firma di Malatesta, Cafiero e Ceccarelli: “Noi qui sottoscritti dichiariamo aver occupato il Municipio di Letino armata mano in nome della rivoluzione sociale, oggi 8 aprile 1877”. Dopo un breve discorso di Malatesta, seguito da un inaspettato e favorevole intervento del Parroco del paese, la Banda, distrutti i contatori dei mulini, si diresse al vicino paese di Gallo dove si ripeterono le medesime scene.

Nei giorni successivi gli insorti provarono ad entrare in altri comuni della zona ma li trovarono già presidiati dalle forze dell’ordine. Il Governo, informato dal Prefetto di Caserta, aveva intanto già allertato ben dodicimila uomini. La sera del 11 aprile, dopo aver provato a sconfinare in Molise, affaticati da una lunga marcia nella neve, sempre battuti dal vento e dalla pioggia, i 26 rivoluzionari furono arrestati, senza opporre alcuna resistenza, in una masseria nei pressi di Letino.

Risparmiati dalla fucilazione grazie all’intervento di Silvia Pisacane, la figlia dell’eroe della spedizione di Sapri, che convinse il ministro degli interni Nicotera a farli giudicare da un tribunale ordinario, gli Internazionalisti furono rinchiusi nel carcere di Santa Maria Capua Vetere in attesa di giudizio. Durante la detenzione Carlo Cafiero, primo in Italia, tradurrà, compendierà e pubblicherà il primo libro del Capitale di Marx ricevendo dal medesimo autore i complimenti per la chiarezza e sinteticità dell’esposizione.

Dopo un primo rinvio a giudizio, agli inizi del 1878, in seguito all’amnistia emanata dal nuovo re Umberto I°, i reati politici contestati agli insorti furono cancellati e gli imputati rinviati a giudizio solo per il ferimento e la morte del carabiniere. L’accusa, quindi, fu modificata da reato politico a reato comune e gli insorti furono rinviati a giudizio davanti alla Corte d’Assise di Benevento con l’infamante accusa di aver agito per “libidine di sangue”.

Il processo, celebrato nel mese di agosto 1878 e molto seguito dalla stampa dell’epoca, rappresentò per gli imputati un’ottima opportunità per pubblicizzare l’ideologia anarchica e far conoscere all’opinione pubblica, dalla tribuna dell’Assise, attraverso i diversi interrogatori, le idee del nascente Socialismo. Alla fine, malgrado i tentativi del Governo di corrompere i giurati, gli imputati furono dichiarati non colpevoli e immediatamente messi in libertà. Fra una folla festante, accompagnati da circa duemila persone, gli Internazionalisti della Banda del Matese, dopo sedici mesi di carcerazione preventiva, finalmente liberi, in corteo, lasciarono prima l’aula del tribunale e poi il carcere per recarsi a festeggiare in un’osteria di Benevento.

“Un processo di questi per Provincia e il Governo si sarebbe ucciso con le proprie mani”. Fu questo il commento finale di un giornalista del “Corriere del Mattino” di Napoli

Le ultime ricerche in campo letterario, evidenziando il ruolo svolto nelle vicende della Prima Internazionale, lasciano presumere che anche il poeta Giovanni Pascoli abbia partecipato, sia pure indirettamente, a questi fatti condividendone i fini e collaborando con i diversi affiliati.

Parlare del socialismo del giovane Pascoli non è facile in quanto l’immagine che a noi è arrivata è legata soprattutto a quella che ci è stata trasmessa dalla sorella “Mariù”: il poeta della famiglia, tenace ricostruttore del nido familiare. Durante gli anni universitari, invece, Pascoli fu un fervente affiliato dell’internazionale dei Lavoratori divenendone, nel 1876, segretario della federazione bolognese  venendo, infine, arrestato in seguito ad una manifestazione anarchica di protesta. Fu amico e compagno di studi e di vita di Andrea Costa, entrambi discepoli di Giosue Carducci, il grande Maestro che con la sua testimonianza contribuì all’assoluzione di Costa e dei suoi compagni per il tentativo insurrezionale di Bologna del 1874, mirabilmente raccontato da Riccardo Bacchelli nel romanzo: “Il diavolo al Pontelungo”. Il giovane poeta partecipò attivamente alla vita dell’Internazionale bolognese scrivendo e pubblicando articoli, riviste, giornali, organizzando e promuovendo incontri e manifestazioni pubbliche. In particolare, agli inizi del 1877, qualche mese prima dei fatti del Matese, Pascoli e Costa pubblicarono sul giornale “Il Martello” un attacco durissimo contro il ministro Giovanni Nicotera accusandolo di viltà: “mentitore sfacciato, calunniatore per sistema, ignorante e borioso”. Quando Andrea Costa, in seguito al fallito moto del Matese del quale, insieme a Cafiero e Malatesta, fu ideatore e organizzatore (la maggior parte dei partecipanti all’insurrezione matesina erano Romagnoli, Imolesi in particolare, molto vicini al Costa), per sfuggire all’arresto fu costretto a riparare all’estero, Pascoli ne organizzò la fuga ospitandolo nella sua casa di Bologna, la sera prima della partenza per la Svizzera.

Non volendo attribuire al Pascoli i versi “…Con la berretta d’un cuoco, faremo una bandiera”, con i quali si chiudeva “L’Ode a Passante”, dedicata all’anarchico che a novembre 1878, a Napoli, aveva attentato alla vita del Re, ultimamente, tra le carte di Benedetto Croce che ne trascrisse i primi otto versi confluiti nella sua monografia su Pascoli del 1907, è stato ritrovato un inno scritto dal Poeta agli inizi del 1878. Alla luce di tale documentazione e considerata la vicinanza con Costa, è lecito presumere che il Poeta romagnolo abbia avuto un ruolo indiretto ma sicuramente importante e prezioso nelle vicende della Prima Internazionale e della Banda del Matese.

*Autore del libro: “La Banda del Matese – 1876/1878 – I documenti, le testimonianze, la stampa dell’epoca” – Galzerano Editore

Inno per l’Internazionale anarchica

Giovanni Pascoli

Soffriamo! Ne’ giorni che il popolo langue
è insulto il sorriso, la gioia è viltà!
Sol rida chi ha posto le mani nel sangue,
e il fato che accenna non teme o non sa.
Prometeo sull’alto del Caucaso aspetta,
aspetta un bel giorno che presto verrà
un giorno del quale sii l’alba, o vendetta!
Un giorno il cui sole sii tu, Libertà!
Soffriam! ché il delitto non  regna in eterno!
Soffriam! ché l’errore durare non può!
Già Satana giudica nel pallido inferno
il Dio de’ Tiranni che al bujo il dannò!
È forse una vampa del tetro petrolio
che su per le nere muraglie guizzò?
Chi là ne l’altare, chi qua sopra il solio
fantasma di truce bellezza s’alzò?
Soffriam: le catene si spezzano al fine
allor che pugnali, ne piaccia foggiar;
fra un mucchio fumante di sparse ruine
già Spartaco è sorto tremendo a pugnar.
Soffriamo, o fratelli! la mano sul cuore
lo sguardo nuotante, nell’alba che appar!
Udite?! Le squille che suonano l’ore
a stormo tremendo desiano suonar!
Già mugghia il tremuoto laggiù nella reggia!
S’accampa ne’ templi superbo il Pensier!
Un rosso vessillo nell’aria fiammeggia,
e in mezzo una scritta vi luccica in ner:
un’alta sentenza che i secoli andati
pensaron nel tempo del muto dolor
che nega l’umana pietà agli spietati!
Che all’odio condanna chi uccise l’amor!
Le dolci fanciulle ch’avete stuprato,
i bimbi che indarno vi chiesero il pan,
nel giorno dell’ira, nel giorno del fato,
i giudici vostri, borghesi, saran.

Pubblicato da red. prov. “Alto Casertano-Matesino & d”